BIBLIOGRAPHY Fabrizio Ruggiero - Boîte-en-valise II, Red. 2011 DOPPIOSENSO, Palazzo delle Arti, Napoli 16 aprile – 2 maggio 2011 An outsider point of view, contributo libero e tardivo per Negli anni Sessanta, il maggio francese e l’affermarsi dei diritti civili negli USA hanno dato forma a spazi di autentiche libertà democratiche attraverso la cultura alternativa. In quegli anni, alcuni artisti rifiutarono il principio di autoritarismo e la divisione dei ruoli, e ritenendo che l’azione estetica fondasse la propria legittimità soltanto nell’incontro con gli altri, si raggrupparono in collettivi che propugnavano la visione di una creatività diffusa, dove talvolta è difficile circoscrivere il limite tra creazione artistica e attivismo politico. Altri, che pur condividevano gli stessi principi, ricercarono l’azione estetica essenzialmente nell’incontro con l’altro-da-sè (Otherness), mediante un processo di liberazione dai propri condizionamenti, con un percorso solitario verso quella Dorata Eternità che Jack Kerouac aveva indicato con L’ultima parola e dove, nella parte terminale della sua esistenza, è approdato anche uno scrittore come Tiziano Terzani Il percorso che racconto si è svolto lungo quest'ultima linea, ed è iniziato in Afghanistan, nell’estate del 1972. Al termine di quell’estate, invece di ritornare a una vita che sembrava già definita e incasellata, disegnavo collezioni di tessuti a Milano, come altri di quella generazione decisi di proseguire per l’India, che appariva come il luogo magico dove l’impossibile era ancora possibile, unico luogo dove decostruire lo status di “soggetto” occidentale. Se viaggiare era innanzitutto un riappropriarsi del tempo, un percorso basato su un'unica ricchezza, frutto di uno strappo, di un taglio netto con le proprie radici – avere il tempo di avere tempo – mi fu presto chiaro che la meta non era fisica bensì spirituale, e da ricercare entro se stessi. Viaggiare portò con sé anche un mutamento del punto di vista sull’ arte e sull’azione estetica. L’arte degli anni Sessanta era ancora fondata sulla nozione di Avanguardia e racchiudeva l’illusione di un progresso nelle arti. Estetica, in greco, significa percepire attraverso i sensi, in particolare attraverso le sensazioni tattili. La concezione dominante dell’azione estetica presuppone che l’arte sia evocata da emozioni e che abbia il fine di esprimere ed evocare altre emozioni. Identificare il nostro modo di porci di fronte all’arte con la ricerca di queste sensazioni significa destinare le arti alla sola mondanità e separarle dalla vita attiva e da quella contemplativa. Abbiamo costruito una critica estetica basata su spiegazioni psicologiche e l’abbiamo sostituita alla visione dell’arte come virtù intellettuale e del bello, come cosa riguardante la conoscenza. (Salvo poi ricordarcene quando Benigni legge Dante). Nella società globalizzata, a un’esaltazione dell’estetica si contrappone la scomparsa dell’opera d’arte come fonte di esperienza unica e indefinibile. L’arte si è volatilizzata in etere estetico, le descrizioni,appendici e apparati, parerga, gli eventi e le tattiche di comunicazionesono diventate più importanti dell’opera stessa. Alla base di questo processo vi è la progressiva negazione dell’opera come oggetto, un processo iniziato da Duchamp nel 1913 con il suo primo Readymade, Roue de bicyclette. La trovata di Duchamp rispecchia, riferendola all’opera d’arte, un concetto dell’esperienza metafisica espresso nel Vedanta: la nostra esperienza del reale si fonda sulla concezione che abbiamo del reale, ma siamo liberi di concepirlo come vogliamo. Quindi, cos’è un’opera d’arte? Si dice che sia il prodotto di un artista… e chi è un artista? Chi produce opere d’arte… Un circolo vizioso in cui opera d’arte e artista si sostengono reciprocamente in virtù di una terza cosa da cui ricevono anche il nome, arte Negli ultimi due decenni, alla nozione di Avanguardia si è sostituita quella più sfuggente di Arte Contemporanea che il mercato dell’arte utilizza per conferire un valore aggiunto all’opera di alcuni artisti, secondo criteri talvolta determinati da fini puramente mercantili. Allo spirito libertario degli anni Sessanta si è gradualmente sostituita la dittatura dei marchi artistici, visitando i musei di arte contemporanea accade spesso di vedere opere uguali, sempre degli stessi artisti, e in un mondo in cui la nozione di mercato prevale c’è il rischio che chi ha il controllo delle istituzioni artistiche possa censurare e dirigere l’arte secondo interessi particolaristici. Fountain Nel 1917, alla mostra della Society of Independent Artists di New York, Marcel Duchamp espose un orinatoio intitolando l’opera Fountain con l’intento dichiarato di creare un nuovo pensiero per quell’oggetto. Da questa provocazione, testimonianza di un rifiuto degli schemi artistici tradizionali, nasce il processo di reazione a catena che ha percorso l’arte del secolo scorso, secondo cui qualsiasi cosa può essere un’opera d’arte. Se questa provocazione, da un lato ha ampliato il concetto di arte, contribuendo a fecondi “sconfinamenti” fra le diverse esperienze creative, dall’altro ha causato la perdita del bagaglio di conoscenze, anche tecniche, che costituivano il corpus dell’arte pittorica. Mi è parso condivisibile l’obiettivo di un’arte fondata sul pensiero e non più su un frainteso ed equivoco piacere estetico, mentre non ho condiviso la volontà di escludere l’opera d’arte in sé. Sono convinto che l’arte si pratica all’interno di discipline e che queste, nell’ambito delle arti visive, sono quelle della pittura e della scultura. Queste considerazioni mi hanno indirizzato verso un percorso controcorrente e tutto in solitaria. La pittura non è fatta di parole, la pittura non ha sonoro e concentrando la consapevolezza nello sguardo, nel solo senso della vista, la pittura ne amplifica la sensibilità. La pittura diventa soggetto che emana sensazioni, la pittura non si aspetta orecchie che ascoltano ma occhi che guardano, allora concentra il suo sonoro nel segno e nel colore. Questi esprimono anche l’indicibile … la pittura allude all’indicibile, a qualcosa che s’intravede nascosto ‘tra’ o, meglio, ’al di là’ delle esperienze – a ciò che non si può dire, perché la pittura non ha parola, ma che può esprimere, giacché la pittura è segno e colore, ciò che manca alla parola. Secondo Duchamp, non l’abilità tecnica, lavoro soltanto manuale, ma l’atto di scegliere, un’azione mentale, una diversa attitudine verso la realtà, aggiunge valore estetico all’opera. Penso che l’abilità tecnica, possa essere un processo molto sofisticato, un’azione mentale molto profonda e che comunque lo scarto linguistico che produce una variazione di significato, spesso divertente, all’interno di un idioma, nulla abbia a che vedere con le arti visive in quanto tali. Partendo da quest’idea, ho interpretato, di tanto in tanto, le cose di Duchamp come segni cui attribuire significati altri, utilizzandole come soggetti per affreschi. Lavorando in modo speculare sul lato visibile, fisico e tangibile delle immagini - il significante- apporto variazioni alla parte invisibile, concettuale e simbolica delle immagini - il significato - che in questo modo acquistano un senso completamente diverso, il senso del doppio.
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