BIBLIOGRAPHY Fabrizio Ruggiero Il cuore dell’arteIn una conversazione con Pierre Cabanne (Ingegnere del tempo perduto, pag.20 e segg., Multipla edizioni, 1978), Marcel Duchamp racconta di aver saputo che la parola “arte” deriva dal sanscrito e significa fare. E’ un’affermazione che mi ha sempre incuriosito. Negli anni della mia gioventù ho soggiornato a lungo in India e a Benares, dove ho appreso anche i rudimenti del Sanscrito. Il mio insegnante era un bramino ben paffuto e sempre sorridente, Virendraji. La sua casa era ad Assi Gath, il più a sud dei Gath di Benares, alla confluenza fra il Gange e il piccolo fiume Assi, dove i pellegrini vengono a bagnarsi prima di rendere omaggio a Shiva, sotto forma di un enorme lingam, alloggiato alla base di un grande albero di Peepal. Virendraji, mi faceva accomodare alla sua scrivania, dove iniziavo, con mano incerta, a tracciare segni sul quaderno imparando a familiarizzare con quei caratteri che formano “la ghirlanda di lettere”,Varnamala, come sono chiamati in sanscrito i caratteri dell’alfabeto Devanagari, rappresentati anche dalle teste umane recise che formano la collana di Kālī. Apprendere i rudimenti del sanscrito è stata un’esperienza appagante, uno dei frutti del taglio netto con le nostre radici, che, come altri in quel tempo, avevo reciso e che ci permetteva di avere il tempo di avere tempo e di permearci di una cultura con un’idea del mondo diversa da quella che conoscevamo. Era la logica evoluzione del messaggio che mi aveva profondante colpito assistendo a Paradise Now del Living Theatre al Festival d'Avignone del 1968. Nel 1965 avevo visto il Living Theatre al teatro San Ferdinando di Napoli in Mysteries and smaller pieces e in seguito in Frankstein e fui affascinato dall’utopia di quel sogno che mi fece iniziare un viaggio, con un percorso solitario, verso quella Dorata Eternità che Jack Kerouac aveva indicato con L’ultima parola e dove, nella parte terminale della sua esistenza, è approdato anche uno scrittore come Tiziano Terzani. Qualche anno fa ho rispolverato il mio vecchio vocabolario di sanscrito Monier-Williams ed ho fatto qualche ricerca sull’affermazione di Marcel Duchamp che la parola “arte” deriva dal sanscrito e mi è stato fatto notare che andrebbe evitato di dire che una parola latina o italiana "deriva" dal sanscrito, ma piuttosto che è "collegata" o "collegata etimologicamente". Mi sono anche chiesto chi sia stata la fonte di Duchamp... certamente Octavio Paz e Arturo Schwarz, due suoi amici, furono interessati alla cultura dell’India. Octavio Paz, vicino al surrealismo nella Parigi post bellica, fece il suo primo viaggio in India nel 1952, dove poi soggiornò dal 1962 al 1968 come ambasciatore del suo paese, il Messico. Quei sei anni sono anche un’educazione sentimentale, artistica e spirituale che lascerà una chiara impronta nella sua vita e di cui lascerà testimonianza nel libro In India dove ripercorre la cultura millenaria di quel paese nei suoi multiformi e contradditori aspetti filosofici, sociali e artistici. Octavio Paz ha dedicato due saggi al suo amico Duchamp, il primo, El castillo de la Purez, scritto nel 1966 contiene un’analisi de Il Grande Vetro, lasciato “ definitivamente incompiuto" nel 1923. Dopo la sua morte si scoprì, con stupore, che Duchamp aveva lavorato nella sua casa di Neuilly, per vent’anni e in gran segreto, a un assemblaggio intitolato Étant donnés: 1) la chute d'eau 2) le gaz d'éclairage, successivamente trasferito e ricostruito con grande cura da Pierre Matisse al Philadelphia Museum of Art. Se Il Grande Vetro obbligava lo spettatore a una sorta di disincanto dello sguardo per il suo ascetismo, quest’ultima opera, può apparire come un paradosso perché in realtà è un trompe-l’oeil, una sorta di macchina barocca, ed è a quest’ultima opera che Octavio Paz dedica il suo secondo saggio “ Water writes always* in plural”. Purtroppo Octavio Paz è morto nel 1998 e quindi non mi è stato possibile indagare sui suoi rapporti con Duchamp. Anche l’amicizia di Arturo Schwarz e Duchamp è durata a lungo, il primo maggio 1954 con "Omaggio a Marcel Duchamp", Arturo Schwarz inaugura la sua libreria in via della Spiga a Milano, poi trasformata nella galleria Il Milione, dove nel 1964, in occasione del cinquantesimo anniversario del primo "Readymade" di Duchamp, realizza un'edizione numerata e firmata dei suoi quattordici più rappresentativi Readymade. Al pari di Octavio Paz anche Arturo Schwarz ha una lunga frequentazione e una profonda comprensione del pensiero e della cultura indiana che prendono forma in tre memorabili saggi L’arte dell’amore in India e Nepal (1980),il culto della donna nella tradizione indiana (1983) e Introduzione all’alchimia indiana, (1984). Ho chiesto ad Arturo Schwarz se Duchamp potesse aver appreso da lui l’informazione sull’origine della parola “arte” e la sua risposta è stata affermativa segnalando che l’episodio è anche citato nel suo "Complete Works of Marcel Duchamp" e che l’artista aveva letto le bozze (nel 1968) e approvato prima della pubblicazione (1969). Ho anche inviato ad Arturo Schwarz le mie annotazioni e mi ha risposto:-La sua breve analisi è assolutamente corretta – d'altronde il Monier-Williams, nonostante l'età, continua ad essere la fonte migliore per lo studio del sanscrito.-. Quindi accludo queste annotazioni alla Boîte-en-valise II, Red . 2011. Un particolare ringraziamento devo a Florinda de Simini, studiosa di Sanscrito presso l’Istituto Orientale di Napoli, per le sue preziose osservazioni.
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