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Fabrizio Ruggiero

Il suono segreto dell’arte
A Bruit secret & Pandora’s Box

Sanlorenzo_Arte Poppi

24.07.2010 - 19.09.2010

Appunti di lettura
Conversazione con Michele Loffredo

Michele Loffredo In un mondo dove viene celebrato il trionfo dell’estetica ed il culto della bellezza, si assiste paradossalmente alla scomparsa dell’opera d’arte come fonte di esperienza unica e indefinibile, l’arte si è volatilizzata in etere estetico.
Alla base di questo processo si vi è la progressiva negazione dell’opera come oggetto, sostituita da processi e dispositivi produttori di esperienza. Un processo iniziato a partire da Duchamp che, nel 1913, esegue il suo primo Readymade, Roue de bicyclette,  mentre nel 1916 costruisce A Bruit secret un semi Readymade con due lastre di ottone ed un gomitolo di spago che contiene al suo interno “un oggetto segreto” scelto dal suo mecenate Walter Arensberg e che tu hai assunto a motivo programmatico della mostra per il suo particolare significato…

Fabrizio Ruggiero.     La trovata di Duchamp rispecchia, riferendola all’opera d’arte, un concetto dell’esperienza metafisica espresso nel Vedanta: La nostra esperienza del reale è in funzione di come lo concepiamo e siamo liberi di concepirlo come vogliamo.  Quindi, cos’è un’opera d’arte? Si dice che sia il prodotto di un artista… e chi è un artista? …Colui che produce opere d’arte… una sorta di circolo vizioso in cui opera d’arte ed artista si sostengono reciprocamente in virtù di una terza cosa da cui ricevono anche il nome, arte.

M. L.      L’impianto generale dell’allestimento della mostra si avvale della potenzialità non solo spaziale ma anche simbolica della piccola chiesa sconsacrata di San Lorenzo. A pianta rettangolare, conserva ancora l’altare centrale ma epurata da segni che la caratterizzino in senso liturgico, spazio espositivo che ha ospitato negli anni una selettiva programmazione di artisti contemporanei, viene da te utilizzata non solo come white box, contenitore-galleria d’arte, ma è ricondotta alla sua funzione originaria. Reinvestita della messa in scena “sacra”, pur nell’ambigua dimensione laica, presenta alle pareti dieci ritratti di artisti contemporanei, come altrettante icone capitali dell’arte, per convergere al centro nel dipinto A Bruit secret & Pandora’s box, collocato nella grande nicchia della pala d’altare.

F. R.      Scuotendo A Bruit secret si ode un suono, ma nessuno sa cosa lo produca, e quindi, secondo alcuni, una bella metafora per l’arte. Duchamp fece eseguire nel 1964, in collaborazione con la galleria d'arte Schwarz, un’edizione limitata ad otto esemplari dei suoi più famosi Readymade. Nel 1987 un amico fiorentino mi mostrò alcune di queste opere che aveva appena acquistato da Arturo Schwarz e così ebbi occasione di avere fra le mani A Bruit secret.

M. L.      L’asse intorno al quale si muove l’allestimento è appunto il dipinto A Bruit secret & Pandora’s box che si pone come metafora dell’arte, della sua presenza/assenza (ovvero presenza in quanto assenza), del suo nascondersi/apparire, della possibilità della percezione di “qualcosa” ma non della sua definizione. 

F. R.       A Bruit secret è una buona metafora per l’arte e riporta alla mente i mutevoli aspetti di un simbolo mitico, il vaso di Pandora che,a
sua volta, è un buon esempio di come i simboli possano modifichino in accordo al linguaggio. In Italia il mito di Pandora è sempre legato ad un vaso in cui, nella versione più nota sono contenuti tutti i mali, che -una volta aperto il vaso- si diffondono per il mondo. In Inghilterra,Francia e Germania, grazie ad un’interpretazione di Erasmo di Rotterdam, il vaso si è trasformato in scatola ( Box, boite, Buchse ) che ha affascinato anche artisti come Paul Klee e Max Beckmann. Questa differenza ha prodotto anche una differente iconografia . Secondo il mito, una  volta aperto, nel vaso resta solo la Speranza e arte è anche speranza.

M. L.      Nel dipinto A Bruit secret & Pandora’s box, la raffigurazione del Readymade di Duchamp è inserita in una traccia circolare, il vaso di Pandora, e non si può far a meno di sottolineare il contrasto fra la tridimensionalità di A Bruit secret e la costruzione bidimensionale del vaso, su un fondo rosso pompeiano, che richiama la semplicità di antiche pitture. Non sfugge che qui il segno è soprattutto simbolo e si possono ricavare facilmente le analogie attinenti al vaso, all’alveo “nascosto” e misterioso.

F. R. Dipingendo un affresco di A Bruit secret nel vaso di Pandora ho costruito  un Koan, lo strumento di una pratica meditativa zen, che consiste in un’affermazione paradossale usata per "risvegliare" una profonda consapevolezza.  Ascoltare il suono segreto di un dipinto mi sembra un buon modo per condurre,mediante un dipinto,  la mente fuori dal meccanismo del pensiero. La pittura e la scultura implicano un approccio attivo, l’occhio dell’osservatore è libero di vagare sull’opera a piacimento per il tempo che più ritiene opportuno, attratto magari da un dettaglio che può spalancare un nuovo mondo. Un oggetto d’arte spaziale non richiede necessariamente di esser letto secondo un ordine  determinato, si può cominciare  da punti diversi, far variare il senso o la velocità lasciando che il nostro sguardo vaghi sull’opera con un’attenzione senza scelta, lasciando il senso della vista libero di percepire oltre i confini che la reazione selettiva del pensiero condizionato può erigere. La percezione visiva, lo sviluppo di consapevolezza  attraverso il senso della vista è altro dalla parola che lo racconta ed in tal senso non si può dire la pittura, si può solo discorrere intorno alla pittura, parerga.

M. L.      So che hai usato una tecnica particolare per A Bruit secret…

F. R. Ho costruito un modello virtuale che poi ho illuminato, messo in posa e fotografato da varie angolazioni. Dalle immagini così ottenute ho scelta quella per i cartoni dell’affresco ed ho utilizzato due diverse vedute prospettiche per delle stampe su carta di riso.

M. L.      A Bruit secret & Pandora’s box corona tutto l’allestimento, contornata dalle effigi degli artisti tra i più significativi del contemporaneo, attraverso i quali è transitata la storia dell’arte, taumaturghi che con il loro “tocco” miracoloso hanno trasformato l’arte.
Nei ritratti degli artisti ti sei avvalso della tecnica dell’affresco che hai utilizzato come tratto distintivo fin dagli albori della tua attività professionale. Noto che queste immagini sono sempre tagliate, che una parte resta sempre fuori dal limite del quadro…
F. R.      E’ vero anche se in maniera meno evidente in quelle di Burri e di de Chirico dove i capelli sono assimilati allo sfondo. Preferisco chiamarle effigi più che ritratti, immagini simboliche e non rappresentazioni veristiche. Fingĕre oltre a «foggiare, plasmare» ha anche il significato di «rappresentare in rilievo», cosa che risulta evidente, in senso letterale, osservando la superficie pittorica dei miei quadri. Nella mitologia greca esiste un particolare tipo di effigie, il kolossos, con una duplice funzione: tradurre la potenza e l’anima del morto in una forma visibile e, allo stesso tempo, inserire tale potenza nell’universo dei vivi, in modo conforme all’ordine. Il kolossos non mira soltanto a evocare nella mente degli uomini la potenza simbolica alla quale rinvia, ma serve anche e soprattutto a stabilire una vera comunicazione con essa, a inserirne la presenza nell’ambito umano. Allo stesso tempo Colossale ( Kolossalisch) è anche il termine che denota la veduta di qualche cosa che, non necessariamente per un rapporto di scala, è quasi troppo grande, eccede sempre la giusta misura, passa aldilà del limite…e che a causa della sua taglia eccessiva resta in parte fuori  dai limiti della rappresentazione. Qualcosa di troppo grande rispetto alla nostra facoltà di comprensione e a cui si può alludere solo parzialmente, lasciando che una parte altra resti fuori dai limiti della rappresentazione … dai bordi del quadro. De Chirico è stato il primo artista ad affermare che il segreto del mondo sta nella mancanza di senso del mondo stesso conferendo mistero poetico al mondo delle apparenze. In alcune lettere del 1909-11 ritrovate da Gerd Roos, Giorgio de Chirico confida al suo compagno di studi Fritz Gartz di essere stato ispirato nelle sue prime opere metafisiche dalla lettura delle opere di Nietzsche e dalla dottrina dell’eterno ritorno, gli sussurra all’orecchio:- sono l’unico uomo ad aver capito Nietzsche e- tutte le mie opere lo dimostrano.
De Chirico è stato inspirato, dalla lettura di Nietzsche a dipingere opere come “ L’ènigme de l’oracle” nel 1909. Borges ha distrutto il fondamento della dottrina dell’eterno ritorno mediante la teoria degli insiemi di Cantor spiegando la filosofia di Nietzsche come se fosse materia di una disputa scientifica sulla costituzione fisica dell’universo, due approcci diversi ad una stessa esperienza che ci fa nuovamente riflettere su come il reale è in funzione di come lo concepiamo e siamo liberi di concepirlo come vogliamo.
M. L.      I grandi pannelli, a secondo della distanza di lettura, rimandano una percezione quasi antitetica, infatti, nel dettaglio si rinviene la forza basica del linguaggio informale/astrattista espresso con colore vivo e densamente materico, mentre la visione generale restituisce il collage del volto, sottilmente “interpretato” nello stile dell’artista riprodotto, e, talvolta, arricchito di minuscoli oggetti che si vanno a collocare in posizioni strategiche sulla superficie corrugata, con significati discretamente stranianti.
F. R. Il processo attraverso cui si dà corpo all’immagine è soggetto dell’opera al pari di quanto viene rappresentato. Riportare un volto su grande formato comporta che il soggetto non venga visto nella sua totalità; l’opera viene realizzata lavorando su singole parti senza possederne la veduta d’insieme. Questo tipo di difficoltà diventa cruciale per definire la natura dell’immagine che dovrà esser costruita attraverso un processo. I pittori di affresco risolsero questo problema attraverso la tecnica dello spolvero e dei cartoni.
La tecnica dei cartoni è analitica e procedurale, il che significa conferire priorità al processo e definire la natura del lavoro prima ancora del suo farsi.
Riportare un’immagine sui cartoni è un processo che ha il rigore delle leggi scientifiche, non consente libertà ma pone dei vincoli, il passaggio obbligato di un’analisi linguistica. Il processo che dà vita all’immagine prevale sul soggetto che, in un certo senso, diventa anonimo nonostante abbia un nome.
Il soggetto assume un ruolo secondario rispetto alla modalità costruttiva dell’immagine stessa, il frazionamento del volto in singole parti e la loro successiva ricomposizione per ripristinare l’insieme, non produce una perdita di descrizione, le persone ritratte restano sempre e comunque riconoscibili. Operando trasformazioni coscienti dell’immagine nel trasferirla in pittura si genera quella conforme difformità che dà agli oggetti rappresentati l’aspetto di somiglianza ed allo stesso momento di diversità rispetto alle cose reali.

M. L.      Riappropriandoti di funzioni esercitate in passato dalla spiritualità,  costruisci un percorso di affermazione di come si possa operare nel contemporaneo per diffondere un’alternativa culturale contrapposta ai valori mondani della Modernità senza impoverirla delle sue valenze artistiche e cognitive.

F. R.  Farò un  esempio partendo da One and Three Brooms,un’opera molto nota di Joseph Kosuth, figura chiave dell'arte concettuale.
One and Three Brooms è formato da una vera scopa, dalla foto di una scopa e dalla fotocopia ingrandita della definizione del termine scopa presa da un vocabolario ed illustra la discussione sulla realtà che ha luogo nel Repubblica  di Platone, anche se li si parla di letti e non di scope. E’ un riepilogo, visivamente preciso, di una questione molto semplice: Esistono gli oggetti fisici, le immagini degli oggetti fisici e le definizioni degli oggetti. Come esempio di arte concettuale, One and Three Brooms ha lo scopo di farci pensare e l’etichetta arte invita l’osservatore a cercare un significato più ampio che lì non c’è.
Per quale fallimento della immaginazione, la banale illustrazione di una vecchia tesi può assurgere allo status di opera d’arte?
E’ possibile comunicare i significati impliciti nelle scope di Kosuth in maniera pittorica e magari anche poetica?
Per trovare una risposta, basta rivedere L’uso della parola 1 di  René Magritte del 1928-29 . In  L’uso della parola I Magritte dipinge una pipa su di uno sfondo neutro e sotto vi pone la scritta: - Questa non è una pipa-. L’immagine dipinta non va confusa con l’oggetto tangibile che raffigura.
 Magritte, quindi,  non solo afferma che esistono gli oggetti fisici, le immagini degli oggetti fisici e le definizioni, o idee, degli oggetti ma aggiunge anche che le descrizioni non sono le cose descritte, i nomi non sono gli oggetti che rappresentano. Qualche decennio prima di Kosuth, Magritte dimostra che è possibile comunicare questi livelli di significato e che è possibile farlo anche in maniera poetica con un’immagine pittorica. Mi sembra molto più interessante la visione poetica di Magritte, a quella pedante di Kosuth, al di la di ogni ragionevole dubbio.

ML:       E gli altri, invece, per quali motivi di hanno affascinato?

FR:      Kandinsky è stato il primo a proporre di ascoltare la forma, offrendo una nuova opportunità di esplorazione, cioè la possibilità di entrare nell’opera, diventare attivi in essa e vivere il suo pulsare con tutti i sensi.

L’arte si è ormai trasferita dalla sfera dell’illusione rappresentativa a quella dell’autonoma oggettualità, le opere d’arte sono fatte per esistere come oggetti per diritto proprio, senza somigliare a nessun altro oggetto o rappresentarlo.

ML:      Tra i ritratti, so che sei legato a Degas per una particolare circostanza.

FR:      Ho voluto iniziare questo mio pantheon degli artisti del secolo scorso con Edgar Degas, zio di mia nonna Enrichetta Guerrero de Balde. Il nonno di Edgar, Hilarie Degas si trasferì a Napoli negli anni della rivoluzione francese e vi mise su famiglia. Edgar fu molto legato ai suoi parenti napoletani e ne fece numerosi ritratti, fra i più celebri quello della sorella Therese con il marito nonché cugino Edmondo Morbilli Artisticamente parlando, mi lega a Degas quella tensione nel penetrare la realtà che porta con se la frantumazione dell’immagine principalmente con il gessetto per Degas e con gli impasti materici per quanto mi riguarda. Ed è proprio in questa frantumazione della realtà che sta la modernità di Degas ed è per questo motivo che ho voluto ritrarlo partendo da un autoritratto con il suo amico e pittore Evariste de Valernes. Quello che mi ha interessato nel doppio ritratto di Degas con Valernes è la certezza affermata con forza che la pittura moderna passa attraverso lo studio dei maestri.
I cubisti furono i primi a minare alla base questa premessa, inventando uno spazio inteso a soppiantare quello prospettico rinascimentale. Picasso per primo cercò di rovesciare il concetto di trompe l’oeil incollando veri pezzi di giornale ai suoi quadri cubisti, sostituendo il tradizionale trompe l’oeil con quello che chiamava trompe l’esprit.
 Quando la « realtà » stessa fu introdotta nell’opera, tutto il concetto di illusionismo fu messo in questione e nelle sue parole « Non solo cercavamo di dislocare la realtà, la realtà non era più nell’oggetto, la realtà era nel dipinto.».
Il merito di aver introdotto « la realtà» nell’opera viene attribuita a Picasso ma esistono due precedenti entrambi di Degas. E’ nota la storia del quadro La famille Bellelli che cadde accidentalmente dalla parete bucandosi. Degas lo riporta nel suo studio di Parigi e copre il buco con un suo schizzo a sanguigna del nonno montandolo con cartone grigio filettato d’oro. Degas non restituì mai il quadro agli zii ed alla sua morte il quadro era ancora nel suo studio e nel 1918 fu acquistato in forma privata dal Louvre grazie alla mediazione della contessa de Fels e di René de Gas, fratello dell’artista. L’altro celebre precedente e quello del tutù di tela nella scultura in bronzo della Ballerina di14 anni, e questi due esempi possono esser considerati gli antesignani del «Letto» in cui Robert Raushenberg contrae l’esperienza estetica eliminando la distinzione fra l’oggetto reale e ciò che lo rappresenta.

ML:      Tra i ritratti, so che sei legato a Degas per una particolare circostanza.

FR:      Ho voluto iniziare questo mio pantheon degli artisti del secolo scorso con Edgar Degas, zio di mia nonna Enrichetta Guerrero de Balde. Il nonno di Edgar, Hilarie Degas si trasferì a Napoli negli anni della rivoluzione francese e vi mise su famiglia. Edgar fu molto legato ai suoi parenti napoletani e ne fece numerosi ritratti, fra i più celebri quello della sorella Therese con il marito nonché cugino Edmondo Morbilli Artisticamente parlando, mi lega a Degas quella tensione nel penetrare la realtà che porta con se la frantumazione dell’immagine principalmente con il gessetto per Degas e con gli impasti materici per quanto mi riguarda. Ed è proprio in questa frantumazione della realtà che sta la modernità di Degas ed è per questo motivo che ho voluto ritrarlo partendo da un autoritratto con il suo amico e pittore Evariste de Valernes. Quello che mi ha interessato nel doppio ritratto di Degas con Valernes è la certezza affermata con forza che la pittura moderna passa attraverso lo studio dei maestri.

Di Beuys, invece, mi affascina l’aspetto sciamanico, l’arte come processo liberatorio.  

ML:     La pittura non è fatta di parole, la pittura non ha sonoro, ed allora, per ritornare al tema di questa mostra, qual è il sonoro della pittura?

FR:    La pittura amplia la sensibilità concentrando, attraverso lo sguardo, la consapevolezza su di un solo senso che è quello della vista.
La pittura diventa soggetto che emana immagini, la pittura non ha sonoro, la pittura non si aspetta orecchie che ascoltano ma occhi che guardano ed allora la pittura concentra il suo sonoro nel segno e nel colore. Questi esprimono anche l’indicibile … la pittura allude l’indicibile, qualcosa che si intravede nascosto ‘tra’ o, meglio, ’al di là’ delle esperienze, ciò che non si può dire in quanto la pittura non ha parola ma ciò che può esprimere in quanto la pittura è il segno ed il colore, ciò che manca alla parola.
 
M. L.      Vedere il suono dell’arte sottolinea che il passaggio da una percezione visiva ad una uditiva, si avvale  del paradosso dei koan zen: Che l’arte, quindi, non nutra il serrato dialogo interiore,  che possa far tacere la prigione della mente ed,  interrompendo il flusso dei pensieri, possa aprirci la soglia di una ulteriore consapevolezza.
Come per la mitica scelta di Ercole al bivio, sviluppando il discorso tra profano e sacro, sembrano aprirsi due strade: La riflessione diviene provocatoria del sistema dell’arte,  narcisista ed autoreferenziale, che ha il sapore del più grande complotto mai realizzato, costruito sul niente, una bolla vuota tenuta in piedi dalla convenienza e dall’ignoranza, come per la favola I vestiti nuovi dell’imperatore.
Dall’altro, invece, la posta diventa più alta: dall’acuta metafora esistenziale della condizione umana si offre una strada di liberazione. 
F. R.  La continua ed inarrestabile attività della mente umana per introdurre distinzioni nei fenomeni che osserviamo, è caratterizzata da una particolare sensibilità alle differenze, in particolare a quella differenza che produce una differenza che chiamiamo informazione e consiste nell'individuare schemi di relazioni e nel costruire le relative mappe.
Nella storia sull’origine della pittura di Plinio si legge che l’arte della pittura ha avuto origine dall’uso di tracciare con una linea il contorno dell’ombra umana.
Osservando la pittura vascolare greca ci si rende conto che c’è una qualche verità nell’affermazione di Plinio.
Ma c’è di più se prestiamo attenzione al contenuto di questa affermazione:
Dipingere, l’arte di dipingere, quasi l’atto di tracciare la linea di confine tra le innumerevoli coppie di opposti che la mente umana ha creato: luminosità ed oscurità, ordine e caos,  conosciuto ed ignoto, quiete e movimento, orizzontale e verticale, lieve e pesante, etereo e denso, maschile e femminile …L’arte di dipingere come processo attraverso per  sviluppare consapevolezza e comprensione verso  noi stessi e la realtà che ci circonda marcando la linea di confine tra opposte polarità, una ricerca di equilibrio. Da questo punto di vista l’arte della pittura è sempre-letteralmente – moderna. E’ modernus ciò che manifesta il carattere del modoin questo istante, proprio ora- quindi è Moderno ciò che delimita il confine tra il tempo appena trascorso e quello che sta per giungere. L’ arte di dipingere come processo che vincola l’attenzione al qui ed ora, nell’ eterno presente, splendido artificio che ci libera dall’oppressione del successivo ed anche dal problema dell’immortalità.

LUGLIO 2010